Agenzia delle Entrate, ora controlla anche le chat WhatsApp: “così scoviamo gli evasori”

Le conversazioni su WhatsApp, un tempo considerate private e intoccabili, sono oggi al centro di un acceso dibattito giuridico. Sempre più spesso, infatti, le chat digitali vengono utilizzate come prova nei procedimenti penali e fiscali, in particolare nei casi di evasione, frode, riciclaggio o falso in bilancio. L’evoluzione tecnologica e la digitalizzazione della vita professionale hanno reso inevitabile l’ingresso di questi strumenti nel mondo delle indagini tributarie. Ma fino a che punto le chat possono essere usate? E quando la loro acquisizione diventa un reato?

Le chat come “corrispondenza privata”: cosa dice la legge

La giurisprudenza più recente ha riconosciuto che i messaggi WhatsApp sono a tutti gli effetti corrispondenza privata. Ciò significa che godono delle stesse tutele previste per le lettere, le e-mail e le comunicazioni sigillate. La Costituzione italiana, con l’articolo 15, garantisce la segretezza della corrispondenza, e quindi anche delle chat digitali.

Accedere a queste conversazioni senza il consenso dell’interessato o senza un’autorizzazione formale da parte dell’autorità giudiziaria costituisce una violazione grave. Anche se il telefono è sbloccato o si conosce il codice PIN, l’ingresso non autorizzato nelle chat altrui è equiparato a un’intrusione informatica e può configurare reato di accesso abusivo a sistema informatico o violazione della corrispondenza.

Quando un accesso diventa reato

Le sentenze più recenti hanno chiarito che entrare nelle chat di un’altra persona, anche solo per curiosità o per ottenere informazioni, può avere conseguenze penali. Non importa se il dispositivo è stato temporaneamente affidato o se l’utente aveva in passato il permesso di usarlo: ciò che conta è la mancanza di consenso specifico al momento dell’accesso.

In tali casi, l’azione può configurare contemporaneamente due violazioni:

  • Accesso abusivo a sistema informatico (punito fino a 5 anni, con aggravanti fino a 10 nei casi più gravi);

  • Violazione della corrispondenza, quando il contenuto delle chat viene letto, divulgato o usato contro il proprietario del dispositivo.

Ciò vale non solo per i rapporti personali, ma anche per i contesti aziendali o professionali. Un collaboratore che preleva chat interne o conversazioni su operazioni contabili senza consenso può essere perseguito penalmente.

Le chat come prova nei reati fiscali

Nei procedimenti penali connessi a reati fiscali o tributari, le chat possono assumere valore probatorio se dimostrano accordi illeciti, pagamenti in nero, false fatturazioni o tentativi di eludere il fisco. Tuttavia, devono essere acquisite legalmente e rispettare le regole del processo.

Le chat non sono intercettazioni, ma documenti digitali: possono essere prodotte come prove documentali se ne viene garantita l’autenticità. Gli inquirenti possono acquisirle solo con sequestro autorizzato, nel rispetto del principio di proporzionalità e con l’obbligo di dimostrarne la provenienza e la non alterazione.

Una conversazione tra due soggetti che concordano pagamenti non dichiarati o l’occultamento di ricavi, se autentica, può bastare a confermare un’evasione fiscale. Allo stesso modo, una chat in cui si discute di “compensazioni” fittizie o fatture inesistenti può essere utilizzata come riscontro in un processo penale tributario.

Quando la chat diventa inutilizzabile

Non tutte le conversazioni acquisite possono essere utilizzate in giudizio. Se la chat è stata prelevata senza autorizzazione — ad esempio copiando il contenuto del telefono di un collega, di un socio o di un cliente — la prova è considerata inutilizzabile.

Il giudice, in questi casi, deve escluderla perché ottenuta con modalità contrarie alla legge. È necessario che l’acquisizione sia stata eseguita:

  • da un pubblico ministero o da un ufficiale di polizia giudiziaria con delega;

  • con decreto di sequestro o perquisizione informatica;

  • nel rispetto delle garanzie sulla riservatezza dei dati personali.

Anche se la chat contiene prove schiaccianti, se è stata ottenuta violando la privacy dell’altro soggetto, non può essere usata per condannare nessuno.

Gli screenshot come prova

Un altro tema molto dibattuto riguarda l’uso degli screenshot. Le immagini dei messaggi WhatsApp possono costituire prova piena solo se non vengono contestate dalla parte contro cui sono prodotte. In caso contrario, l’onere della prova ricade su chi le presenta: occorre dimostrare che non sono state manipolate e che il contenuto è autentico.

Il giudice può richiedere una perizia forense per verificare l’integrità del file e la corrispondenza con i dati originali memorizzati nel dispositivo. Una chat tagliata, modificata o ricostruita perde automaticamente ogni valore probatorio.

L’uso illecito di messaggi: dal privato all’azienda

Il confine tra uso legittimo e illecito dei messaggi digitali è sottile.
Nel mondo del lavoro, ad esempio, la condivisione non autorizzata di conversazioni interne o dati fiscali aziendali può essere considerata violazione della riservatezza industriale. Anche in questi casi, se le informazioni ottenute tramite chat vengono usate per arrecare un danno o per trarne profitto, si configura un reato informatico.

Allo stesso modo, nei casi di indagini su evasione o frode, le chat aziendali tra soci o dipendenti possono essere acquisite solo se l’accesso ai dispositivi è avvenuto in modo legittimo. In caso contrario, il rischio è duplice: da un lato la prova è inutilizzabile, dall’altro scatta un’indagine per accesso abusivo o violazione della privacy.

Come tutelarsi

Nel contesto attuale, in cui i confini tra vita privata e digitale si assottigliano, è fondamentale adottare alcune precauzioni:

  1. Evitare scambi fiscali o contabili tramite chat personali. Le informazioni sensibili devono transitare su canali aziendali ufficiali.

  2. Non accedere mai a dispositivi o chat di terzi senza consenso. Anche un accesso “curioso” può bastare per incorrere in sanzioni penali.

  3. Conservare le conversazioni importanti in modo integrale. In caso di contenzioso, un backup autentico e completo vale più di uno screenshot isolato.

  4. Richiedere assistenza legale immediata se un dispositivo viene sequestrato o se si teme che chat personali possano essere oggetto di indagine.

  5. Non cancellare le conversazioni in modo selettivo: un’eliminazione sospetta può aggravare la posizione del soggetto in sede processuale.

La linea sottile tra prova e reato

Le conversazioni su WhatsApp sono diventate un territorio giuridico complesso, in cui una chat può essere al tempo stesso una prova e un reato.
Chi la usa come strumento di comunicazione deve sapere che:

  • se il contenuto riguarda un accordo illecito, può essere usato contro di lui;

  • se la chat è stata prelevata senza consenso, può incriminare chi l’ha estratta;

  • se l’acquisizione è avvenuta legalmente, può essere decisiva in un procedimento fiscale o penale.

La giurisprudenza più recente ha ormai cancellato ogni ambiguità: WhatsApp non è più uno spazio di impunità digitale. Ogni messaggio può trasformarsi in documento, ogni screenshot può diventare una prova, e ogni accesso non autorizzato può portare a una condanna.

Il consiglio, oggi più che mai, è uno solo: usare le chat con prudenza, ricordando che anche in ambito digitale la legge non dimentica, e la privacy non è mai totale.