Una polpa aspra che ricorda la torta di mele, una buccia bruna e una storia che si perde tra giardini e orti: così si ricorda spesso il frutto che molti chiamano nespola o, per confusione popolare, corniolo. Per generazioni è stato un alimento invernale e un rimedio domestico contro i disturbi di stomaco. Nel corso dell’anno successivo alla raccolta, le varietà tradizionali venivano lasciate maturare dopo le prime gelate per ottenere quel gusto dolce‑speziato che pochi frutti spontanei possiedono. Un dettaglio che molti sottovalutano: la stessa denominazione varia da zona a zona, e in diverse regioni italiane la parola usata in cucina non corrisponde sempre alla classificazione botanica.
Storia e diffusione
La coltivazione di queste piante è documentata da fonti storiche antiche e, secondo resoconti della tradizione, la frutticoltura su piccola scala le ha tenute in vita per secoli. Storia e diffusione si intrecciano: dagli autori greci del VII secolo a.C. fino ai Romani, che portarono i frutti nei loro orti, l’albero è stato parte della dieta rurale in molte aree d’Europa. In tempi passati lo si trovava nei giardini delle corti e tra gli alberi dei contadini; nelle campagne molti bambini succhiavano la polpa matura, mentre nelle mense signorili veniva servita in coppette. I rami selvatici, spesso spinosi, e le forme coltivate, più contenute, spiegano perché in alcune zone sia diventato arbusto d’ornamento e in altre rimasto pianta da frutto.
La sua presenza non si limita all’Italia: popolazioni montane del Caucaso, della Crimea e dell’Iran conservano tradizioni simili. In molte aree europee moderne la pianta era quasi scomparsa dalle file di alberi da frutto, ma negli ultimi anni è riemersa grazie all’interesse per varietà antiche e sapori tradizionali. Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno riguarda il ritorno alla raccolta dopo le gelate, pratica che migliora il sapore della polpa.
Varietà, cucina e trasformazioni
Nei vivai specializzati si trovano ancora varietà che sono reliquie della frutticoltura storica: esemplari con frutti da 4 a 7 cm, alcuni dolci senza bisogno di trattamento, altri ricchi di tannini che richiedono una maturazione forzata. Le cultivar storiche differiscono per dimensione, contenuto zuccherino e facilità di lavorazione, e molte sono state recuperate da appassionati di alberi da frutto. In cucina il frutto è apprezzato per il profumo che ricorda mele cotte e spezie; si presta a conserve, marmellate e confetture e si sposa bene con prugne o sambuco nelle ricette tradizionali.
Per ottenere la polpa pronta si rompe la buccia vicino al picciolo e si preme il frutto; poi la massa viene passata al setaccio per eliminare i semi. Un metodo tradizionale per accelerare la dolcezza è la fermentazione controllata: disporre i frutti in una cassetta su paglia o carta e mantenerli in un luogo tiepido per settimane favorisce l’ammezzimento. Alcuni mettono i frutti nel congelatore per simulare le gelate. Effetto pratico: trasformare frutti tannici in una composta morbida, perfetta per conserve domestiche. Un dettaglio che molti sottovalutano è che il rapporto polpa‑seme varia molto tra le varietà, influenzando la resa della marmellata.
Proprietà nutrizionali e consigli d’uso
Le fonti tradizionali citano l’uso di questi frutti per problemi di stomaco, per la diarrea e per disturbi renali o cardiaci; nella medicina popolare erano ingredienti di decotti e sciroppi. La ricerca moderna, sebbene ancora in fase esplorativa, ha messo in luce che i frutti contengono composti interessanti: antiossidanti come flavonoidi, ferro, vitamina C e sali minerali come potassio e magnesio. Questi elementi rendono il frutto potenzialmente utile come alimento di supporto per chi ha carenze di ferro o per integrare diete varie, sempre dopo confronto con un professionista.
Studi preliminari suggeriscono attività antimicrobica e benefici metabolici, ma non sostituiscono terapie: è corretto dire che i frutti possono essere un complemento nella dieta più che una cura definitiva. Per consumarli è consigliabile aspettare la maturazione naturale o usare i metodi tradizionali di ammezzimento; per chi vuole sperimentare, il liquore casalingo si ottiene lasciando macerare i frutti con alcol e zucchero per alcune settimane, poi filtrando. In molte regioni italiane gli appassionati di orti e frutteti stanno riscoprendo queste piante, piantandole negli spazi domestici come fonte di frutti e come presidio di biodiversità, un’osservazione che suggerisce come i sapori storici possano tornare a occupare un posto nelle tavole quotidiane.